Beati gli operatori di pace

Don Lorenzo

Il cammino quaresimale delle nostre quattro comunità parrocchiali è stato caratterizzato dall’attenzione ad una domanda: come essere operatori di pace oggi? Abbiamo iniziato a chiedercelo il Mercoledì delle Ceneri durante le diverse celebrazioni di inizio Quaresima che hanno coinvolto bambini, giovani, adulti, famiglie e anziani. La scelta di questo tema, tra i tanti altri indicati nell’incontro del consiglio pastorale cittadino del 25 gennaio, è sembrata particolarmente opportuna tenendo conto del tempo difficile che stiamo vivendo.

Molte persone si sono incontrate a gruppi nelle prime settimane di Quaresima per confrontarsi e riflettere, ed è stato bello poter condividere il frutto di questo lavoro durante la Cena del Digiuno di venerdì 17 marzo. I contributi di quella serata, messi a disposizione trascritti su un foglio, sono diventati oggetto di  preghiera personale nelle nostre chiese nella settimana successiva, per arrivare ad un discernimento che sfoci in una proposta concreta da offrire a tutti. Stiamo ancora camminando, vedremo cosa il Signore ci suggerirà… Anche i ragazzi del catechismo sono stati chiamati a diventare operatori di pace, ricevendo ad ogni Messa domenicale un braccialetto fosforescente  con  l’invito ad un concreto impegno da realizzare durante la settimana.

Personalmente ho tratto frutto anche dall’omelia che il nostro vescovo Roberto ha tenuto nella cattedrale di Torino la sera del 10 marzo, giornata in cui la Chiesa italiana era invitata a pregare per la pace in Ucraina e in tutti i luoghi di guerra, secondo un calendario di preghiera proposto dai vescovi europei. Il vescovo  ha evidenziato nella sua riflessione due tentazioni che possono affacciarsi al nostro cuore pregando per la pace.

La prima è pensare che la guerra sia una notizia tra le  altre, propostaci puntualmente ogni giorno tra le tante immagini della politica, dello spettacolo, della fantasia: una notizia che rischiamo di far diventare “normale”, mentre  invece porta con sé tanta sofferenza di persone, famiglie e popoli. Proviamo allora a non abituarci alla guerra, a non diventare insensibili davanti al dolore degli altri, lontani o vicini.

La seconda tentazione, ancora più insidiosa, è quella di pensare alla guerra come una cosa che riguarda altri. Invece, sottolineava il vescovo, “dobbiamo dircelo con onestà: l’odio, la violenza, una certa guerra può fare capolino anche nelle nostre famiglie. Quante volte! E può fare capolino anche in questa nostra città, che di per sé formalmente vive in pace. Siamo anche noi impastati da sentimenti di ira, di violenza, di odio, di vendetta. E soltanto se sappiamo vedere questo e soltanto se sappiamo chiedere perdono per questo, allora la nostra preghiera per la pace è una preghiera che nasce dalla profondità della nostra vita e non è una preghiera formale”. Qui mi preme evidenziare che l’invito alla richiesta sincera di perdono può trovare la sua espressione più alta nella celebrazione del sacramento della Confessione: nella settimana che ci sta davanti avremo nelle nostre parrocchie l’opportunità di accostarci alla misericordia del Signore, negli orari e modalità indicati qui a lato.

Credo che potremo allora sperimentare che anche nel nostro cuore può scendere in verità l’augurio fatto da Gesù risorto ai suoi discepoli la sera di Pasqua: Pace a voi! Non è un caso che proprio in quella circostanza Gesù incarichi i suoi discepoli di perdonare i peccati. Non c’è pace se non si elimina il peccato, radice di ogni guerra, piccola o grande.

Proviamoci tutti, nel nostro piccolo, consapevoli che ogni gesto concreto di lotta al peccato diventa una goccia per alimentare il mare della pace.

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