di Roberto Petrasso

È inutile nasconderlo. Tutti quanti amiamo i pirati. Chi più, chi meno, ma è innegabile che nell’immaginario collettivo la figura del pirata viene associata al sogno per la libertà e ad una vita di scoperte e avventure. Nessuno parla mai del mal di mare o delle grosse probabilità di beccarsi una malattia mortale durante il viaggio. No, Johnny Depp e la Disney hanno risvegliato quell’idea romantica di pirata già presente nei nostri sogni, il tutto coronato poi da One Piece, che ha reso i pirati parte della vita di innumerevoli ragazzi e adulti che, come me, aspettano di vederne il finale. E che dire di quel favoloso Assassin’s Creed IV? A conti fatti abbiamo film, romanzi, videogiochi, manga e anime sui pirati. Quindi perché non completare il quadro con una bella serie TV?

La serie si propone come un prequel al celeberrimo romanzo di R. L. Stevenson L’isola del Tesoro, per mostrarci la storia del leggendario pirata John Silver, con il suo pappagallo sulla spalla e la gamba di legno. Ma il John Silver con cui ci troviamo a fare i conti all’inizio della storia non è affatto un ambizioso pirata. Anzi, non è nemmeno un pirata. Ha ancora tutte e due le gambe e non è uno che intenda diventare un corsaro. Semplicemente le circostanze si dimostrano avverse al nostro John Silver, che si ritrova a essere il cuoco (senza saper fare il cuoco) sul galeone del temibile capitano James Flint. Un nome che sono in pochi a non temere lì nei dintorni di Nassau. Un pirata che è disposto a tutto per raggiungere il suo obbiettivo: recuperare il leggendario tesoro dell’Urca de Lima e fare delle Bahamas una nazione indipendente, un paradiso per i pirati di cui essere incoronato re.

Tralasciando il fatto che l’unico Re dei pirati è un certo Gol D. Roger (chi deve intendere intenda), la trama si articola tra le vicende della ciurma di Flint, gli intrighi con altri pirati e persone di potere a Nassau, e l’incessante ricerca del tesoro, di cui John Silver si rivelerà la chiave. Ed è proprio quando lo capirà che si metterà in atto la dicotomia caratteristica della serie: da un lato Flint, pronto a tutto per raggiungere i suoi obbiettivi, dall’altro Silver, pronto a tutto per assicurarsi una vita agiata, possibilmente con ancora una testa sulle spalle. Ma la serie non si limita alla ciurma della Warlus. Tanti altri personaggi si alternano nella narrazione, molti dei quali vestono i panni di pirati realmente esistiti. Da Edward “Barbanera” Teach a Charles Vane e Anne Bonny. Ed è proprio il cast a farla da padrone quando si vogliono trovare i pregi di questa serie: non tanto perché ci sia qualche nome di spessore, ma perché la recitazione è terribilmente buona. Toby Stephens nelle vesti del capitano Flint emana un carisma incontenibile, mentre Luke Arnold interpreta in modo eccelso il personaggio di John Silver e il suo cambiamento durante il corso delle quattro stagioni della serie: da mozzo in fuga al leggendario pirata di Stevenson.

A primo impatto Black Sails può sembrare la versione piratesca de Il Trono di Spade, ed effettivamente non è troppo sbagliato pensarla così, perché c’è nell’aria quello stile duro e quel realismo romanzato che permeano le atmosfere di Nassau cariche di pirati, taverne e bordelli. Però subito all’inizio c’è una enorme differenza secondo me: il pilot. Mentre il primo episodio della serie fantasy di HBO ti lascia un po’ stranito, senza capire bene che cosa tu stia guardando, l’episodio pilota di Black Sails penso sia uno dei migliori nelle serie TV in generale. Mette subito in chiaro qual è il tono della serie e come sono i suoi protagonisti. Se poi ci si spinge oltre il primo episodio, ci si imbarca in un fantastico mondo di pirateria con duelli e arrembaggi, ma in grado di fornire anche intrighi non banali. Si può dire che regia e sceneggiatura prendano parecchio dalla serie basata sui romanzi di George Martin, ma si potrebbe vedere il tutto anche come un Vikings caraibico se preferite. Tra l’altro noto spesso che gli appassionati della serie vichinga hanno saputo apprezzare molto anche Black Sails.

Ho già espresso il mio amore per i pirati, quindi forse sono di parte in questo commento, però Black Sails è una serie dannatamente buona. Il suo unico problema è quello di essere una serie nata per la televisione, quindi parliamo di episodi da un’ora e vicende a volte diluite un po’ troppo. Perlomeno si sono contenuti in sole quattro stagioni, senza cioè entrare troppo in quell’inevitabile declino delle serie televisive portate avanti troppo a lungo (Supernatural sto parlando di te). Se siete pronti a navigare per le acque cristalline delle Bahamas del diciottesimo secolo, la serie completa è disponibile su Prime Video!

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