di Roberto Petrasso

Quante volte ci è già capitato di assistere ad una trama in cui il protagonista rivive ogni giorno lo stesso giorno? La struttura a loop non è nulla di nuovo, anzi, forse è anche un po’ abusata, e con la serie di cui parleremo oggi, il ciclo si ripete ancora. Più o meno.

La storia di Nadia Vulvokov inizia in bagno davanti ad uno specchio. “Gotta get up” di Harry Nilsson in sottofondo. È la festa del suo trentaseiesimo compleanno e la casa straborda di amici e non. La serata non è di quelle memorabili, se non fosse che la sfortunata protagonista, allontanatasi dalla festa, viene investita da un taxi morendo nell’incidente. Potremmo far finire la serie nel primo quarto d’ora, ma invece Nadia si ritrova nuovamente in bagno. Davanti allo stesso specchio. Harry Nilsson suona in sottofondo. Questa sarà solo la prima delle tragiche morti della protagonista interpretata da Natasha Lyonne (che forse conoscete per il suo ruolo in Orange is the new Black). Contrariamente però alla tipica storia a loop, Nadia è cosciente di esser morta, e ricorda ciò che le è capitato prima di essersi risvegliata nuovamente davanti a quello specchio. Tra un iniziale smarrimento, paranoia, sigarette e una buona dose di prudenza per evitare di farsi uccidere di nuovo, Nadia cerca di sopravvivere alla giornata per scoprire perché tutto questo le stia succedendo.

La serie in sé è molto breve: otto episodi da venticinque minuti (poco più di tre ore, potete farcela in una sola serata). Mentre la prima parte ha un tono comico, alimentato dalle battute schiette della cinica protagonista e dalle sue morti accidentali, l’incontro con Alan (Charlie Barnett) a metà della storia fa da spartiacque, dando maggiore spazio al carattere riflessivo della serie. Intendiamoci, la serie resta sempre incredibilmente piacevole da guardare, ma con ogni episodio la protagonista si trova esposta a temi sempre più profondi, acquisendo una maggiore conoscenza di sé stessa e dei traumi che la tormentano. Così, come in una matriosca (Russian Doll appunto), ogni loop toglie uno strato, e pone Nadia davanti a temi diversi. E qui sta l’altra differenza con il tipico loop. Ogni volta che Nadia si ritrova davanti a quello specchio, uno strato della matriosca è stato tolto, e il mondo attorno a lei è cambiato. La regia fornisce dei piccoli indizi sin dalle prime puntate, ma il cambiamento diventerà sempre più profondo man mano che si raggiungono gli strati più profondi e ci si avvicina alla causa scatenante del loop.

La serie, disponibile su Netflix, è autoconclusiva nella sua unica stagione. Non sono un grande fan del lieto fine (non lo sono per niente), però questa breve serie si rivela sopra le righe per il suo modo di riadattare una trama di per sé non originale e per il modo in cui la sviluppa e termina.

Possibili effetti collaterali: “Gotta get up” di Harry Nilsson vi rimarrà in testa per un bel po’ di tempo.

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