Vivere accanto a chi è in guerra

La testimonianza di Alessandro a Leopoli

 

Alessandro Ciquera

Il 24 febbraio, con le notizie dell’inizio dei bombardamenti su Kiev, ci siamo risvegliati in un mondo meno sicuro e accogliente.

L’esercito della Federazione Russa, su ordini del suo presidente Vladimir Putin, ha invaso e occupato militarmente fette di territorio della confinante Ucraina, un Paese che da anni guardava verso la prospettiva europea e i cui abitanti vivevano esistenze molto simili a quelle a cui siamo abituati nelle nostre città.

Milioni di persone sono state terrorizzate, obbligate a nascondersi in bunker e cantine, forzate a fare scorte di cibo in scatola e medicinali, uccise nel tentativo di lasciare il Paese, con convogli di auto e di ambulanze che diventano bersagli delle armi da fuoco russe.

Quello che è avvenuto, e sta proseguendo, in Ucraina, è innanzitutto una grande ingiustizia, una pagina di crisi e sofferenza che sta attraversando il nostro continente.

Le vite di tante persone esprimono un grido, che chiede soprattutto: “non lasciateci soli, non dimenticatevi di noi”.

Dopo tanti anni spesi a condividere la vita con persone che abitano nei conflitti di Palestina, Libano e Siria, Colombia, ho sentito che era importante fare la propria parte, per cercare di stare vicino a quanti si trovano in pericolo e difficoltà, soprattutto tra i più vulnerabili: donne con bimbi piccoli, persone anziane o con disabilità.

L’Operazione Colomba – Comunità Papa Giovanni XXIII, quest’anno anche ospitata alla cena del Digiuno nel nostro oratorio GO, e destinataria delle offerte della Quaresima di Fraternità 2022, sin dai primi giorni dallo scoppio della guerra ha compreso che era importante attivarsi e farsi prossimi.

Ho dato disponibilità, insieme ad altre persone, e intorno a metà marzo siamo partiti in auto alla volta di Leopoli, nelle regioni occidentali, con il cuore e la testa pieni di timori, ma allo stesso tempo animati dal desiderio di raggiungere quanti più esseri umani possibili.

In questo mese intenso, abbiamo aiutato tramite staffette umanitarie, più di 450 persone a uscire dall’Ucraina, trasportate su autobus, minivan e automobili di cittadini italiani ed europei che, arrivando fino alla frontiera con la Polonia, hanno preso in carico e accompagnato sotto un tetto caldo chi si trovava nel bisogno.

Allo stesso tempo, quei mezzi trasportavano e consegnavano cibo e medicinali, destinati, tramite una piattaforma di volontari ucraini, a essere distribuiti nelle aree più colpite dai bombardamenti e dalle battaglie.

 

La vita di molti continua a essere segnata dalle bombe, dal suono delle sirene antiaeree e dalla paura di venire colpiti.

Questo ha effetto soprattutto sui più piccoli, su coloro i quali hanno meno strumenti per rendersi conto di quello che sta succedendo, e che stanno ricevendo ferite che rimarranno sulla pelle e nell’anima per sempre.

Condivido in particolare alcune immagini, che mi sono rimaste impresse dopo che Leopoli era stata colpita in diversi punti durante un attacco missilistico, dei ragazzini figli delle famiglie ospitate della parrocchia dove abitavamo, che con gli occhi spaesati e i movimenti incerti si guardavano intorno cercando rassicurazioni, trasmettendomi: “Vogliamo vivere”.

Oppure il ricordo di Borodyanka, a nord di Kiev, dove i pompieri e i soccorritori stavano scavando per cercare i corpi di chi era rimasto sotto le macerie, dopo che i palazzi erano stati colpiti dagli aerei russi.

Persone che erano nelle proprie abitazioni, colpite a tradimento nei luoghi dove avrebbero dovuto sentirsi più sicuri.

Ecco il motivo per cui la guerra è un orrore che va abolito, perché spinge gli esseri umani ad ammazzarsi, a desiderare di annientarsi gli uni con gli altri, a non vedere più della gente, ma pezzi di carne, contro cui è permesso compiere ogni schifezza.

Non è accettabile che nel 2022 si possa ancora ritenere che per le proprie mire di potere e di espansione sia accettabile attaccare e devastare un altro Paese, in cui vivono persone che portano avanti i loro sogni, lavori e progetti.

In mezzo a tanta bruttezza, vorrei che rimanesse che oltre al buio, ci sono anche tante luci che si impegnano per far sì che nessuno rimanga indietro. Volontari che raccolgono aiuti, medici, autisti di convogli umanitari, sacerdoti che esercitano il loro ruolo di pastori in scantinati situati metri a di sotto del suolo, insegnanti che cercano di lenire le ferite che i bambini si portano dentro.

Ci si muove e mette in cammino, e questo deve valere a maggior ragione per noi cristiani, sempre per un volto, non tanto per un’idea astratta o una teoria, ma per un corpo da incontrare, per delle mani da stringere.

Sono loro le persone per cui sento che è valso, e vale, la pena essere presenti, persone che puoi guardare negli occhi, dopo aver percorso centinaia di chilometri, e dir loro: “Coraggio, siamo al vostro servizio”.

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