BUON COMPLEANNO ALLA BOITA
La nostra officina di comunità compie 20 anni

Cinzia Bertolo

Siamo nel 2001 e la Boita apre i battenti.
Con il nome che in piemontese rimanda all’officina, con il suo significato di laboriosità, di movimento, di spazio in cui ognuno fa un pezzo, che trova incastro con i pezzi degli altri.
Quest’anno festeggiamo il suo ventesimo compleanno!
Un periodo lungo che narra di un percorso, di una coraggiosa scommessa che è divenuta abitudine, intesa come consuetudine, come un posto che c’è dentro al mio oratorio, su cui posso contare. Da allora i cambiamenti sono stati numerosi, la Boita si è trasformata: nella gestione, negli spazi e nei colori che li hanno caratterizzati, nella varietà del cibo proposto.
E numerose sono state anche le difficoltà e le fatiche che hanno attraversato questo progetto. La continua ricerca del giusto equilibrio tra l’essere un luogo di incontro per le comunità, ma nel contempo aprirsi alla città, essere lo spazio in cui avvicinare chi non fa parte di gruppi parrocchiali; tra l’offrire prodotti di qualità, mantenendo dei prezzi che non diventino motivo di esclusione per qualcuno. Infine la pandemia, che nel colpire duramente ciascuno di noi e tutti gli spazi di aggregazione, non ha risparmiato certo il nostro oratorio, anzi. Se c’è qualcosa che è rimasto, però, è il significato che ha abitato la Boita in questi anni. Il perché sia nato un posto così, che valore aggiunto porta dentro un oratorio, quale senso le nostre comunità hanno visto in questo progetto e cosa ci vediamo oggi.
Proviamo a ripercorrerlo insieme, per non dimenticarcelo.
La Boita non è una pizzeria o un ristorante. La Boita è uno spazio di prossimità e di relazioni, nel quale il cibo diventa “strumento” per incontrarsi. Seduti a tavola, gustando una pizza o sorseggiando il caffè, si conoscono le altre mamme o gli altri papà catechisti, si prepara l’incontro formativo dei ragazzi, ci si chiede “come stai”. Il motivo principale per cui si va alla Boita non è per mangiare quella pizza o quella pasta, ma per vivere quello spazio e per incontrare quelle persone.
Attraverso la Boita si avvicinano persone che altrimenti non avremmo mai agganciato. La concretezza che offre un bar-pizzeria-ristorante consente anche a chi si sente distante dalla Chiesa e dalla fede di passare oltre e varcare il portone di ingresso. Ma una volta dentro vede la comunità, la testimonianza, conosce più da vicino il fare servizio.
La presenza della Boita garantisce un’apertura ampia del nostro oratorio, che non sarebbe sostenibile solo per dei volontari. Avere un posto in città dove io posso andare tutti i giorni dalle 16.30 a mezzanotte (prima del coprifuoco, ovviamente) è una risorsa di valore. “Passare dalla Boita” è un po’ come il saluto a un amico, è la casa allargata, dove trovo sempre qualcuno con cui scambiare due parole. L’oratorio aperto è un presidio di cura, dove puoi non sentirti solo, c’è sempre qualcuno, fossero anche “solo” quelli al bancone del bar.
E l’oratorio aperto significa una città più vivace e più vissuta, significa abitare attivamente il territorio in cui si vive.
La Boita è un luogo di lavoro, che ha dato delle opportunità a diversi giovani. Creando delle professionalità, su ragazzi cresciuti nelle nostre comunità. I responsabili della Boita non sono “solo” dei ristoratori, ma hanno uno sguardo educativo. Parlano con i nostri ragazzi e anche con quelli che usano l’oratorio solo per il campo da calcio o per acquistare una lattina di Coca Cola. Li guardano e se ne occupano, confrontandosi con gli animatori.
La Boita è dentro l’oratorio cittadino. Risponde al senso di avere un punto in cui tutte le comunità e la città più allargata si incontrino, che appartenga a tutte le parrocchie. Permette di creare ponti e non di avere isole in cui ciascuno sta per i fatti propri.
E l’oratorio è ponte anche tra le generazioni, che qui convivono.
Uno spazio così non può vivere se non lo vivono le persone, se non lo vive la comunità. Scegliendo la Boita, non sempre ovviamente, ma neanche dimenticandosene, perché esistono mille altre pizzerie o bar.
E non consumando come si farebbe in qualsiasi altro posto, ma con un senso di responsabilità. Pensando che mi riguarda e che la comunità può contare su di me.

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