Fratelli Tutti

di Ugo Finardi

La terza lettera enciclica di papa Francesco, “Fratelli tutti” è stata pubblicata ben cinque anni dopo la precedente “Laudato si’”, e anche in questo caso il titolo è stato scelto a partire da uno scritto del Santo da cui il Papa ha voluto prendere il nome. Il titolo infatti riprende una citazione diretta delle “Ammonizioni” del Santo di Assisi. Cerchiamo, in questo articolo e nei  successivi, di riprendere sinteticamente alcuni dei numerosi temi che l’enciclica pone alla nostra attenzione.

Fin dal titolo quindi papa Francesco ha voluto mettere in evidenza la più importante delle tematiche della lettera enciclica:
la fraternità. Questa viene descritta e trattata, lungo tutto il corso della lettera, in maniera estremamente concreta, senza lasciarsi andare troppo al romanticismo, e viene declinata attraverso numerosi argomenti legati a questo tema principale. Fin dall’inizio il testo della lettera ci ricorda che la fraternità è di per sé inclusiva, e che nessuno può essere “nonfratello”. E  non a caso proprio nei primi paragrafi della lettera viene ricordata la firma, a febbraio del 2019 a Dubai, del documento sulla fratellanza, scritto insieme al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.

Il testo dell’enciclica pone subito una distinzione tra fraternità e semplice solidarietà. Anche la solidarietà è importante, ma la fraternità è qualcosa in più. Infatti “mentre la solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse”. Il modello sociale e civile della fraternità è il “Buon samaritano” della parabola del Vangelo di Luca.

Davanti al dolore l’unica strada è essere come il samaritano, che fa propria la fragilità altrui, sa farsi carico del dolore  dell’uomo che incontra, senza essere incurante. La nostra società spesso guarda alla persona che soffre senza toccarla, mostrandola, ma non avvicinandola. Il samaritano poi aiuta l’uomo ferito, ma non da solo. Cerca qualcuno che possa  prendersi cura di lui, così come tutti siamo chiamati a riconoscerci in un “noi”. Una volta tracciata la “visione teorica” della fraternità ed aver letto la parola di Dio, papa Francesco passa ad indicare quelle che sono le vere sfide necessarie affinché “fraternità” non rimanga unicamente una parola, ma diventi invece qualcosa che viene vissuto nel concreto,
prendendo carne in chi la vive.

La prima sfida identificata e discussa da papa Francesco è quella delle migrazioni. Gli sforzi nei confronti delle persone
migranti che arrivano si possono riassumere, secondo il Papa, in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere
e integrare. Infatti, quando si affronta la sfida della fraternità nei confronti delle migrazioni non si tratta “di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni”. Declinare in azioni questi
quattro verbi comporta necessariamente, come conseguenza, delle risposte concrete, come ad esempio incrementare
la concessione di visti, programmi di patrocinio, offrire alloggio e garantire la sicurezza e l’accesso ai servizi essenziali, proteggere i minori… Inoltre, scrive il Papa, “per quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, è importante applicare il concetto di ‘cittadinanza’, che si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra
tutti godono della giustizia.

Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza”. Tutto questo dovrebbe essere frutto di un lavoro comune fra gli Stati. L’enciclica passa poi a definire i benefici dell’interscambio culturale e della collaborazione, tenendo presente però che non si deve ricadere nell’utilitarismo. Anzi, è fondamentale la gratuità. Al
tempo stesso non è bene che la soluzione sia “un’apertura che rinuncia al proprio tesoro”. Infatti “come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri ratti culturali” e “una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri.” Insomma, apertura e accoglienza non devono essere rinuncia alla cultura.

Sempre secondo le parole di papa Francesco, “ciascuno ama e cura con speciale responsabilità la propria terra e si  preoccupa per il proprio Paese, così come ciascuno deve amare e curare la propria casa perché non crolli, dato che non lo faranno i vicini”. Il Papa sembra rispondere qui alle paure di chi vede nell’accoglienza dell’altro e del diverso una minaccia:
questo forse può dipendere dal fatto che non si è sufficientemente radicati nelle proprie radici, e che l’amore per la propria cultura e il proprio popolo è più formale che sostanziale.

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