La speranza ha il vestito azzurro

Storie di vite che non si sono arrese

F. Cravero

È veramente un grande piacere per il nostro giornale avere il privilegio di presentare il libro di Marco Canta e Alessandro Ciquera, due amici della nostra comunità.
La speranza ha il vestito azzurro è un testo appassionato e appassionante, che narra in brevi episodi o in forma epistolare le storie di tante persone – uomini, donne, ragazzi – che Marco e Alessandro hanno incontrato in anni di impegno verso i rifugiati e i richiedenti asilo, Marco qui in Piemonte, Alessandro in Libano e Palestina.
È un testo che forse non si vorrebbe leggere perché è un pugno nello stomaco alla nostra tranquillità, alle nostre certezze, ma se si comincia non si riesce più a smettere, perché il filo che lega un racconto all’altro non si spezza mai e ci accompagna in un mondo fatto di dolore, ma anche di tanta umanità, forza, speranza.
Qualche parola per presentare Marco e Alessandro.
Marco Canta si è formato nella Gioc ed è attualmente vicepresidente dell’associazione CasaOz, portavoce del Forum Terzo settore e si è occupato in passato di migranti nella cooperativa Orso dove lavora da 27 anni. Alessandro Ciquera è cresciuto e si è formato in oratorio a Grugliasco, al Borgis e da dieci anni si è impegnato attraverso Operazione Colomba in luoghi di conflitto quali la Palestina, la Siria, l’Iraq ed il Libano, l’Albania. In Italia ha lavorato al Ferrante Aporti ed in progetti rivolti a senza fissa dimora.
Entrambi hanno un forte legame con la realtà di Grugliasco dove, anche insieme, si sono impegnati in progetti sociali di accoglienza.
Abbiamo rivolto loro qualche domanda sul loro lavoro.
Da che cosa è scaturita l’idea di scrivere un libro a quattro mani? Ci conosciamo ormai da una decina di anni e prima di tutto siamo amici, persone che si confrontano su ciò che vivono e che condividono tensioni e pensieri riguardo al presente e a ciò che ci circonda; in contesti diversi abbiamo toccato una umanità sofferente e desiderosa di riscatto e abbiamo pensato di raccontarla, in un periodo in cui parlare di solidarietà ed empatia non sembra affatto semplice. Alessandro, negli anni in cui è stato nei luoghi di conflitto, inviava agli amici racconti molto belli e ricchi di umanità. Marco, dal canto suo, aveva il desiderio di scrivere delle storie di rifugiati incontrati qui in Italia. Abbiamo coltivato insieme questo desiderio e provato a concretizzarlo. Da qui l’incontro con una casa editrice, Effatà, che ci ha accompagnati in questo percorso. E poi il regalo che ci ha fatto Luigi Ciotti di firmare la prefazione cogliendo subito quello che noi volevamo comunicare con il libro.
Il libro descrive situazioni in due contesti completamente diversi: che cosa li accomuna? Come è iniziato il percorso che vi ha portato a vivere queste esperienze?I luoghi descritti sono certamente diversi, anche geograficamente, da Torino, al Piemonte, al Libano alla Siria, alla Palestina, ma quello che principalmente accomuna queste storie è l’essere passati attraverso delle ferite, aver sentito il bruciore di una ingiustizia sulla propria pelle e il non essersi abbattuti. Troviamo spesso in queste vite anche una grande fede, in Dio, nelle relazioni, nelle amicizie, nella forza di volontà. Sono lingue che parlano alfabeti diversi, ma che attraverso il cuore riescono a comunicare.
Alessandro: Riguardo al come ci siamo arrivati… prima di partire con Operazione Colomba sono cresciuto nei gruppi dell’oratorio, del Borgis, dal catechismo fino alla fine delle scuole superiori. Ho trovato amici ed educatori, ho scoperto i miei punti di forza e ho imparato a guardare in faccia i limiti e le fatiche, mi è stata trasmessa l’importanza non solo di “fare” qualcosa o di “apparire”, ma di “essere”, ed è una spinta che con mille fatiche cerco di onorare e mantenere. Marco: Per me è nato tutto in una caldissima giornata di luglio 2009 in cui sono entrato nella clinica San Paolo in piazza Sabotino a Torino, occupata da 400 persone provenienti dal Corno d’Africa. Mi sembrava impossibile che vicino al centro di Torino così tante persone fuggite dalla guerra potessero vivere in condizioni precarie, ma al contempo avevo trovato un’umanità che non vivevo in altri contesti che frequento abitualmente. Da lì è nato il desiderio di impegnarsi a fianco delle persone rifugiate.
I fili conduttori del libro sono molteplici: la condivisione, la compassione, la sofferenza, ma anche la dignità, la volontà di andare avanti, di cercare un futuro, insomma la speranza che non abbandona mai né voi né gli amici di cui raccontate le storie… Quanto è difficile mantenere questa prospettiva in mezzo alle innumerevoli difficoltà che incontrate?
È certamente molto difficile, a volte il pericolo è di sentirsi soli a combattere delle battaglie dimenticate, spesso il dolore delle persone che si cerca di aiutare rischia di essere soverchiante e difficile da assorbire, trascinando verso il basso, facendo ammalare anche noi.
Possiamo davvero essere grati di aver trovato ogni volta, nel cuore, nella fede e attraverso la gente, la motivazione per andare avanti nel cammino.
Il messaggio del Natale porta anche con sé un po’ quello che vogliamo comunicare ai lettori con il libro. l primi che vanno a trovare Gesù nella grotta sono i pastori che all’epoca erano itineranti senza fissa dimora, stranieri in qualunque luogo si recassero ed anche disprezzati religiosamente in quanto il loro lavoro nomade non consentiva la frequentazione del tempio. Ecco, se noi siamo capaci di guardare alle storie di chi fugge dalla guerra come i pastori sono stati capaci di guardare a Gesù, riusciremmo a trovare motivo di speranza per ripartire anche in momenti così difficili come quelli che stiamo vivendo.
Un capitolo mi ha particolarmente colpito: se è facile (almeno idealmente…) essere solidali con le vittime, non lo è per nulla distinguere l’umanità in coloro che la violenza la esercitano fino a “riconoscere le proprie debolezze nelle loro”. Quindi non raccontate le storie degli altri, ma anche le vostre…
Quando si incontra il dolore altrui, o si è testimoni di qualcosa di brutto, una delle prime conseguenze è che esso risuona nel nostro vissuto, ci infetta, ne fa emergere tutte le contraddizioni e le mancanze, ci fa sentire improvvisamente fragili e impotenti. La violenza ci separa da noi stessi, ci frammenta, e ci obbliga a un lavoro di ricucitura.
Lo sforzo più grande è il non lasciare spazio a questo pensiero nero, perché tra il delirio di onnipotenza e la fatica dell’impotenza c’è una strada, piccola e nascosta, ma che va percorsa. Nel libro si parla di ingiustizie inaccettabili, violenze inaudite, torture, fame, sofferenza… ma anche del male di cui tutti siamo colpevoli, l’indifferenza. Cosa possiamo fare noi, qui e ora? Non è una colpa in sé essere nati in questo lato del mondo, della frontiera, e il sentirsi sbagliati è forse il metodo peggiore per stimolare un cambiamento perché niente di davvero buono può venire quando una persona inizia a disprezzarsi per ciò che è. Possiamo sicuramente cercare di essere più giusti nelle nostre relazioni, cercare il dialogo anche con la diversità dello straniero, e informarci di più, e meglio, perché ci aiuta a non cadere nelle trappole dei divulgatori di odio, in politica come nei social.
E poi possiamo fare quello che ricorda Alessandro nella lettera ad Hammoudi al fondo del libro ricordando che non tutti in questa epoca si sono girati dall’altra parte di fronte alle sofferenze del popolo siriano. Non dimenticare e far sapere a chi vive in contesti dove l’ingiustizia regna che siamo interessati a loro, alla storia del loro popolo e che ci impegniamo qui perché le cose possano essere diverse.

Dove possiamo acquistare il libro?

On-line dal sito della casa editrice www. effata.it; da molti siti di e-commerce di libri; ordinandolo in libreria. Speriamo di poter fare una presentazione a Grugliasco non appena l’emergenza Coronavirus ce lo permetterà, anche per approfondire questi contenuti.
Grazie a Marco e Alessandro per averci regalato le loro storie e le loro esperienze, sicuramente un’occasione di crescita e arricchimento per tutti.

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